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"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili” (V. Foa)
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E vinsi l'oro. Un oro tanto sofferto da farmi passare i due mesi successivi in una clinica.
So che seguite poco la mia disciplina, ma vi garantisco che è uno sport che ti logora muscoli e nervi.
Per fare quelle acrobazie ci vogliono ore e ore di allenamento.

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Un colpo al cuore, mancato, con una Walther calibro 6,35 mm. Come so che era una Walther? Perché l’avevo vista tante volte nella camera dello zio. La teneva in un cassetto. Dicono che quando sono morta lo “zio Alf” si trovasse a Norimberga. Non so.

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Mi chiamo Angelika Raubal, ma in famiglia mi chiamavano "Geli". Sono nata a a Linz il 4 giugno 1908. Della mia infanzia c’è poco da dire. La perdita di papà quando avevo due anni, il liceo a Vienna, e la mia prima bocciatura. Per punizione mamma mi mandò a vivere da una zia.

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Era il 18 settembre 1931. Una morte lenta e dolorosa. Un buco nel petto, un polmone perforato e un naso schiacciato sul pavimento di un appartamento di classe a Monaco, Prinzregentenplatz, numero 16.
Come ci ero arrivata?
Non ci ero arrivata. Io abitavo lì. Con lo «zio Alf».

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Cristina Trivulzio di Belgiojoso morì a Milano il 5 luglio del 1871, dieci anni dopo quell’unità d’Italia per cui aveva tanto lottato.
Nessun politico dell’Italia unita partecipò al suo funerale.
E' sepolta nel Cimitero del Comune di Locate di Triulzi.

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Ezio Giorgetti è stato il primo italiano ad essere insignito nel 1964 del titolo di “Giusto tra le Nazioni”, da parte dello Yad Vashem, ente nazionale per la Memoria della Shoah.
"Per aver salvato 38 ebrei rischiando galera e fucilazione"

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Carugno iniziò a collaborare con me dandomi tutto l’aiuto necessario per risolvere i problemi quotidiani di quegli ebrei.
Ospitalità, trasferimenti, documenti. E poi protezione, spostamenti e nascondigli per tutto il gruppo.
Dimenticavo. Mi chiamo Ezio Giorgietti. Di Bellaria.

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E poi la manovra coi rampini. Uno scontro breve. Il ponte ricoperto di cadaveri.
I superstiti inglesi in attesa. Eravamo felici. Ma durò poco. In mezzo ai cadaveri, accanto a tre ufficiali, c’era quello del nostro comandante, il capitano Fourbin.

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Due bordi di bolina e a chi sapeva leggere apparve il nome del vascello nemico, Wirichester, della Marina britannica.
Un bottino per la Corona di Francia. Furono loro a sparare per primi, ma noi avevamo ben 24 bocche di fuoco.
La fiancata del legno avversario andò in pezzi.

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Già, la verità. Quella stessa verità che a Catania neppure si sussurrava. Non feci sconti a nessuno. Chiamai a rispondere i notabili della città sul sacco edilizio. Non solo. Denunciai persino la rassegnazione degli onesti.

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